Lo studio realizzato da Cia Agricoltori delle Alpi fotografa la situazione della viticoltura torinese degli ultimi venti anni e prospetta i nuovi scenari operativi

E’ stata uno degli appuntamenti più seguiti e apprezzati dell’ultimo Festival del giornalismo alimentare, appena conclusosi al Circolo dei lettori di Torino: la presentazione dello studio sull’impatto del cambiamento climatico sulla viticoltura del Torinese ha catalizzato l’attenzione di giornalisti e operatori del settore, perché per la prima volta è stato documentato nero su bianco, con metodo scientifico e dettagliato, quanto sta avvenendo sul territorio, al di là del “sentito dire” o delle generiche affermazioni che rimbalzano da una parte all’altra del pianeta relative al surriscaldamento globale.

COMPARAZIONI VENTENNALI

I tecnici di Cia delle Alpi Massimo Pinna e Antonello Petruzziello, incaricati della ricerca, hanno mostrato i limiti e le opportunità emersi attraverso la comparazione delle variazioni climatiche degli ultimi vent’anni con le anomalie riscontrate nella coltivazione della vite: «Il cambiamento climatico verificatosi nelle nostre zone – hanno rilevato i due ricercatori – ha portato in generale degli effetti positivi per la coltivazione della vite, anticipando e intensificando la maturazione. Le stime per il futuro prevedono però un innalzamento da 1,5 a 2,5 gradi medi annuali, il che potrebbe comportare degli anticipi delle fasi fenologiche da 6 fino a 22 giorni, determinando in certe zone delle epoche di vendemmia addirittura a fine luglio».

FASCE CLIMATICHE

Pinna e Petruzziello hanno spiegato che la distribuzione dei vitigni sul territorio potrà subire dei cambiamenti in rapporto alla differente adattabilità alle mutate condizioni climatiche: «Alcuni modelli – hanno osservato – prevedono che le isoterme comprese tra 12° e 22° C slitteranno nei prossimi 30 anni verso i poli da 150 a 300 km e quindi in zone come quella della Borgogna si avrà un aumento della temperatura media da 0.9 a 1,4° C. Alcune aree, come ad esempio la regione di Bordeaux, potranno collocarsi al limite della fascia climatica ritenuta ottimale per la coltivazione dei vitigni a bacca rossa o addirittura al di fuori per quelli a bacca bianca. La tendenza all’aumento delle temperature medie invernali potrebbe determinare una minore resistenza delle gemme al freddo e maggiori rischi di danni per gelate tardive».

SITUAZIONE CANAVESE

Tutte le zone prese in esame dalla ricerca nel Torinese sono state interessate dal fenomeno dell’aumento delle temperature, ma le maggiori anomalie sono state riscontrate nel Canavese, con un minimo di 1°C e un massimo di 2°C in più riferiti alle medie annuali nel corso dell’ultimo ventennio.

Inoltre, nella zona del Canavese il dato più preoccupante riguarda l’aumento delle temperature medie dei mesi di settembre, ottobre e novembre, che in alcuni comuni è risultato essere di 3°C.

Tali variazioni hanno avuto un effetto sulla fenologia della vite, dovuto allo scostamento dalle temperature ottimali che si dovrebbero avere nella fase di maturazione immediatamente antecedente alla vendemmia.

L’applicazione dei modelli matematici ai dati climatici degli ultimi vent’anni ha evidenziato come le zone con maggiori anomalie, come appunto quelle del Canavese, abbiano conseguentemente subito modificazioni nelle problematiche fitosanitarie, con una maggiore incidenza della peronospora, ma soprattutto dell’oidio.

STRATEGIE NECESSARIE

«In un’ottica di sostenibilità – hanno concluso Pinna e Petruzziello – in futuro occorrerà sperimentare nuove strategie alternative a quelle chimiche, attraverso prove di campo e attività dimostrative che offrano alle aziende viticole le necessarie informazioni e tecnologie innovative per consentire di mantenere i livelli produttivi, senza per contro aumentare l’impatto ambientale. Le informazioni ottenute e gli scenari possibili andranno successivamente correlati alle eventuali e probabili variazioni nelle caratteristiche qualitative dei vini prodotti nelle differenti zone Doc e Docg, mentre le analisi di laboratorio potranno fornire utili indicazioni sulle eventuali modifiche avvenute in questi due decenni nelle caratteristiche dei vini prodotti sia in senso peggiorativo, ma anche migliorativo. Le attività di campo previste dal progetto di Cia delle Alpi consentiranno di offrire delle soluzioni possibili per la mitigazione delle conseguenze negative delle anomalie individuate, ma anche di suggerire degli strumenti utili per la revisione dei disciplinari di produzione, sia per una eventuale ridefinizione delle aree vocate, sia per consentire interventi straordinari come per esempio le irrigazioni di soccorso (ad oggi non consentite) sulle coltivazioni in produzione».